13 oct 2010

Piccolo Spazio Pubblicità

Da un'idea sorta in una discussione con il Mancusi.

Una tesi dottorale sull'analisi funzionale dei nomi delle categorie del porno.
In un momento di solitudine spaziale, una donna apre porntube e rimane perplessa...(un uomo, si sa, non si perplime dinanzi a cotanta generosità!)

A parte l'eccesso di scelta (che fa molto american style) legge tutta una serie di nomi strani...
il rimming, che confonde al principio con "rimmel", quella canzone stracciapalle che disturbò irreversibilmente i suoi 13 anni...bbw, milf, soft, hard, cu 'o core, senza core, anema e core...

E pensa:

Non sarebbe molto più semplice mettere solo poche e sintetiche categorie? Almeno per quanto riguarda le modalità dell'atto, ossia: "da sotto", "da sopra" "davanti" "di dietro" ...che poi sono le categorie praticabili...

Perché non venite a raccontarmi che praticate "le forbici".
Lei in verticale con il collo a 90º sul suolo e le gambe in aria e lui incastrato tra le sue gambe.
O che normalmente -e mi riferisco alle donne- le gambe vi si piazzano non dietro alle orecchie, bensì dietro al torace, nella posizione più comoda concepita per un bipede: quella della "valigetta"...

Addentrandomi in questo buffo universo fatto di gemiti selvaggi -femminili- anche di fronte a dimensioni e prestazioni più che mediocri -maschili- quasi a sostenere l'ipotesi che gli uomini, sì, hanno un problema di compensazione, mi imbatto in una categoria.

"Rough"... che significa rude, selvaggio, brusco, violento...
Lei è una psicologa. Lui, non si capisce bene.
Lui entra nella consulta, piuttosto alterato.
Lei si spaventa.
Lui ci straccia i vestiti da dosso e comincia a menarla.
Lei dice: No..No..mmmh
Lui continua a menarla.
Lei continua a dire: No...no... mmmh

Ma, figlia mia, che cazzo dici a fare No, se poi ti piace.
Digli Sì. Almeno non ti vatte.



Ad ogni modo, ho visto posizioni a cui credevo potessero accedere solo esseri invertebrati.
E mi viene in mente quello scherzo/esperimento col quale si burlavano di noi quando eravamo piccoli:
"Prova a leccarti il gomito", dicevano.
...
"Prova una di queste posizioni", direbbero oggi.

Il risultato è frustrante in ambo i casi.

"H" come Hiking

Hiking...
Che?
Hiking!
E che è?

Escursionismo. Questa la traduzione.
Sulla carta ovviamente...con il Google Translator!

Eh sì, andiamo. Andiamo a fare questo hiking, in Vermont, questo fine settimana!
Tutta eccitata compro pantaloni per fare hiking, mutande da hiking, fazzoletti da hiking, zainetto da hiking...tutto hiking.

Col compagno Baffo e il suo truck azzurro Napoli (un vecchio modello del '70) andiamo a far un poco di provviste giacché, a parte fare hiking, pernotteremo in un bosco e quindi bosogna andare preparati. Salsicce, formaggio, pomodori, melanzane, pasta, una tonnellata di basilico, frutta, cereali, latte, sciroppo d'acero, preparato per pancakes e mashmellows. Più una cassa di birre e un vino spagnulo.

Ci avviamo verso mezzogiorno. Chiara, la donna del Baffo, e la sua amica ci raggiungeranno con l'altra macchina, alla sera. Nel truck ci sono tre tende, quattro sacchi a pelo, una chitarra, due flauti e un violino, coperte e copertine, alimenti e una caraffa da 5 litri per l'acqua.

Dal Massachussetts ci vogliono un quattro/cinque ore.
All'approssimarsi al confine con il Vermont il paesaggio cambia radicalmente. Le urbanizzazioni si fanno più rade e i campi coltivati a frumento lasciano spazio a distese di foreste che si perdono all'orizzonte...

Non vuole essere una licenza poetica, questa dell'orizzonte.
È davvero l'unico orizzonte frattale che ho visto in vita mia...non una linea, ma il contorno irregolare di una foresta infinita.

Come suggerisce il nome, il Vermont è verde e pieno di monti.

Ora... pare che una studiosa napoletana, trasferitasi prima in Spagna e poi di istanza a Boston, abbia empiricamente provato che 40 km al giorno di bicicletta non servono a un cazzo se vuoi fare hiking su una montagna con l'80% di pendenza.

Ovviamente, dei quattro giovani hikers, io ero la pippa.
Loro si mettevano capa sotto e salivano come caprette i pendii scoscesi del maledetto monte.
Io ogni 12 passi pensavo di star perdendo un pezzo di me. E non in senso metaforico.
Vedevo loro farsi sempre più piccolini e, come sempre mi succede quando faccio qualcosa su questo stile (vedi il Cammino di Santiago, le escursioni alla Sierra di Cádiz, etc etc), ho cominciato a menare santi e madonne per il cammino chiedendomi compulsivamente: ma chi cazz m'ha cecat a mme 'e venì 'ccà?

La verità è che, una volta arrivati in cima, è una grande soddisfazione guardare giù e dire a te stesso "Hai visto? Ce l'abbiamo fatta!".
(Il plurale maiestatico, che sovente utilizzo dopo sforzi disumani come questo, è dovuto alla mancanza di ossigeno al cervello e all'insorgere, durante la scalata, di un numero indefinito di personalità si cui neanche conoscevo l'esistenza, di cui alcune -ho scoperto- sono anche suicide!).

Se ci penso mi viene da ridere...Chiara mi ripeteva "vabbè, neanche fosse uno dei difficili!"
"Uh Signuri!" pensavo io "Ma perché?...ce n'è uno ancora più difficile?"

A scendere però, sono proprio brava...
Fregandomene delle possibili conseguenze a rotule e giunture, correvo e rotolavo per il pendio della montagna, in mezzo all'erba alta, felice solo del fatto che esistesse la gravità e che presto sarei arrivata a una pianura.

La sera si è fatto il barbecue con le salsicce.
E si è suonato musica irlandese e napoletana.
Io alla chitarra e Baffo ai fiati e al violino.
Sarà stato per lo stato di ebrezza, per la stanchezza, lo sforzo o l'allegria, ma mi è sembrato divino quel piccolo intervallo musicale...
Deve essere sembrato divino anche ai vicini, perché alla fine ci hanno applaudito.
L'unica nota negativa erano i mashmellows...
Disgustosi è un eufemismo.

Passare la notte nella foresta è un po' come perdere il privilegio dello status di "civilizzato".
Ci sono mille rumori sconosciuti. Un po' come nel film, Totò, Peppino e i fuorilegge quando Titina de Filippo dice "Ma che specie 'e bbestie c' stann int'a stu post"...
E stai lì, nella tua tendina, con le orecchie appizzate, pensando:
"Ci stanno gli orsi in Vermont?... E i lupi? Mi sono portata un coltellino svizzero? Avranno sentito l'odore delle salsicce e si saranno avvicinati? Gli orsi mangiano carne? E i cinghiali? Ci saranno i cinghiali? Ma dove l'ho messo lo spray al peperoncino? Oddio, devo fare la pipì...mo' mi trattengo..."

Alla fine ti addormenti.
Per me è stato il sonno più bello degli ultimi, degli ultimi molti mesi.

Dopo alcune settimane ho visto il film "Into the Wild", un film diretto da Sean Penn (sic) - in Italiano si dovrebbe chiamare "Nelle terre selvagge". È la storia, basata su fatti reali, di un giuovane ammericano Christopher McCandless, che dopo la laurea abbandona tutto, dona i fondi che gli servivano per iscriversi ad Harvard in beneficenza e intraprende un lungo viaggio di due anni su e giù per gli Stati Uniti, con meta finale l'Alaska. Poi ci muore, in Alaska, come un fesso... ma vabbè...

E m'è venuta nà voglia ...
Ma mi conosco abbastanza bene e so che se lo emulassi, per il cammino comincerei a piangere e a bestemmiare -come al solito- e credo che mi impalerei prima di arrivare alla meta. Molto, molto, molto prima...
(E poi, se dessi in beneficenza quello che ho sul conto in banca, gli indigenti stessi mi sputerebbero in faccia) ...

Perciò dovete farmi una promessa:se vi dico "Ho deciso, me ne vado in Alaska!", chiamate la neuro.

Ps. Il film è splendido. Lo consiglio.

"G" come God

Il Massachusetts Institute of Technology, si staglia imponente, con la sua facciata neoclassica, su Mass Avenue, vicino a uno dei tati ponti che attraversano il fiume Charles. L’architetto è un tal William W. Bosworth, un protetto di Rockfeller Jr. che negli anni ’20, andò in Francia, a Parigi, per restaurare con i fondi dello stesso mecenate, nientedimeno che Versaille e Nôtre Dame de Paris.

Comunque, quando ha avuto carta bianca, ha progettato il MIT, una struttura ellenico-razionalista (in senso di architettura fascista, che guarda contemporaneamente al passato e al futuro) di colore bianco-sporco che con finte lesene e giochi di pieno-vuoto che danno un senso di profondità a una struttura che di per sé è piuttosto rigida e piatta.

All’ingresso, i soliti controlli.
Tesserino, perché sei qui, chi devi vedere, che devi fare, hai bombe, hai cocaina, armi bianche, armi nere...
Io gli ho risposto che, nonostante l’america nel 2009 avesse esportato 6795 milioni di dollari di armi, alla sottoscritta non le era arrivato neanche un taglierino.
Indi per cui mi hanno fatto passare.

Il Dipartimento di Linguistica e Filosofia è completamente diverso.
Opera dell’architetto visionario Frank Gehry (dovreste cercarlo su internet: è spettacolare), l’edificio è una sintesi brillante di funzionalità e movimento. Forme geometriche in piani distinti si intersecano dando vita a questo esempio di architettura contemporanea che unisce la bellezza allo stupore.
Dentro, il tutto è colorato, funzionale e minimalista.
Arrivo, perdendomi una trentina di volte, alla segreteria del Dipartimento. Sue, una donna rigida e formale mi fa passare e mi ritrovo davanti alla sua porta.

La prima volta, non avevo appuntamento. Ero andata un po’ alla napoletana pensando: “se va bene...bene, sennò nunfanient”... e Sue, dopo un po’ di storie e grazie a un appuntamento rimandato, mi ha infilato 10 minuti nella sua agenda.
La prima volta che l’ho visto ho pensato, nell’ordine: adesso svengo, adesso sicuro mi esce un qualcosa di stupido e faccio una figura di merda, oddio, devo andare in bagno, oddio non so parlare inglese, oddio sono pietrificata, uh! Assomiglia un po’ a Woody Allen...
e ho biascicato un: sorry, I’m confused.

Quello, l’importante è cominciare. Poi le cose vanno avanti da sè.
Il primo colloquio è durato poco.
Il secondo è stato più “easy”. Ero più tranquilla, la lingua non mi si attorcigliava e le mani non erano perennemente sudaticce.

Assomiglia vagamente a Woody Allen. Forse per quella smorfia che è a metà tra il sorriso e il ghigno. Forse per la comune matrice ebrea. Forse per quello sguardo secco e inflessibile con cui guardano il mondo. Il tono è musicale e la sua prosa è lontana da quel rap joyceano a cui sono abituata da quando sono venuta qui. Nonostante sia vecchio come il ceppo a forcella è un uomo con la lucidità di uno sparviero affamato.

È stata una delle esperienze più emozionanti della mia vita. Vedere le rughe, l'umanità, la carne di una persona che stimi tanto è stato bello come il primo bacio o la prima lettera d'amore. Come un simposio di tutte le "prime volte" della propria vita che, coordinate da un eccesso di adrenalina, scoppiano dentro e ti assordano come campane la Domenica delle Palme.

Non credo esista una parola o un concetto che possa descrivere lo stato d'animo di quel momento.
Stupore.
Stupore, forse.

Come lo stupore che si prova davanti alla bellezza.
Perché la conoscenza è bellezza. Ed è una bellezza che matura col tempo e che col tempo si fa più aggraziata e attraente.
E di questa bellezza non sarai mai sazio.

Non come i culi delle ballerine, parafrasando un mio stimato exfidanzatoamico

"F" come FlaviaaBBoston's Friends

Raccontare dei luoghi e non raccontare delle persone è come andare a teatro e vedere uno spettacolo senza luci di scena. Quello che fa realmente la differenza, nei posti dove vai, sono quelli che ti circondano....

Difatti, puoi stare nel posto più affascinante del mondo...ma se la compagnia è quella sbagliata, di quel posto non rimarrà null’altro che un fermo-immagine un po’ sbiadito che distrattamente si aggiungerà agli altri ricordi di passaggi e passanti che hanno incrociato il tuo cammino ma che non hanno lasciato un segno.

Quindi, per la F, ho scelto di parlare dei “Friends”, delle persone con le quali ho condiviso il mio tempo qui a Boston, di quelle con cui ho vissuto, soprattutto.

Comiceremo con Andrea.
Biochimico, calvo, con una pelata perfettamente rotonda che ricorda vagamente la parte cicciotta delle teiere antiche, 34 anni, slanciato, napoletano con la valigia di cartone, Pino Daniele nelle orecchie e la nostra città nel cuore. Ha un’indole cristallina, gli occhi buoni, castani, sempre nascosti da un paio di occhiali da vista e un’atteggiamento bonaccione nei confronti della vita anche se, quando si parla di temi sensibili, in particolare politica, calcio e la sua città, si accende come un pagliariccio.
È uno di quelli che ritornerà. A Napoli, dico.
E io credo che, di questi tempi, è un azzardo lasciare un posto come Boston per uno come Napoli. Ma quello ha Maruzzella nell’anima, ‘a nzalat ‘e mar int’ ‘e vene e Santa Lucia luntana all’orizzonte. Niente gli si può dire sul tema sennò ti manda affanculo.
Studia la passera. Nel senso di fica. Ossia, la vagina...quello strano, buffo mondo, ai più (maschietti) sconosciuto, ritrovo di tutte le più improbabili forme di vita battereologiche presenti sul pianeta. Ma lui ne ha scelta una: la Trichomonas vaginalis, un protozoo della celebre familia dei “flagellati”. Nel doppio senso del termine: 1) questo piccolo parassita ha un ciuffetto di tentacoli a forma di frusta medievale (quella utilizzata dal ciccione sodomita ne “Il nome della Rosa”, per intenderci) e 2) se pigli l’infezione, è un flagello... (e chi ha preso almeno una volta in vita sua la Candida, può perlomeno capirlo).

Poi c’è Giacomocomo.  Un uomo il cui nome contiene il cognome: Gia-como Como.
È considerato dai più, il “belloccio” della comitiva (anche se io ho una lieve preferenza per Andrea). Occhi azzurri grandi come due tazzoni da latte, sopracciglia folte e scure, alto e ‘mpustat, nel senso che ha un fisico asciutto a tratti atletico.
La sua passione: la bicicletta. Difatti, ha una bici che gli è costata un po’ più di uno stipendio di PostDoc al MIT (abbastanza, quindi...) e ogni volta che parte, foss’anche solo per due giorni, prende la bicicletta dalla strada e la mette in camera sua. Riservato e sorridente, è un Matematico. Quindi, per definizione, un nerd ingrippato e un po’ maldestro.
Le volte che siamo andati a ballare ho potuto apprezzare il minimo comun denominatore tra lui, Andrea, Malara e Gianluca, chiamati anche “I cugini merda”, ovverossiala mancanza totale e completa di ritmo. Sembrano tre eterosessuali e un omosessuale che stanno acchiappando le farfalle...l’omosessuale, ovviamente, è Pietro Malara, che ha un approccio assolutamente ghey al ballo.

Una qualità che lo lega a Pietro Malara è il disordine. Non tanto quello mentale, che come ben sapete è appannaggio esclusivo del nostro eroe soccavese, quanto quello logistico. Entrambi, ad ogni passo, creano confusione.

E ogni mattina, quando una gazzella si sveglia e sa che dovrà correre più del leone, Flavia si sveglia e sa che troverà latte, succo d’arancia e marmellata fuori dal frigo...e dovrà fare una colazione “calda”...

Degno di nota è che abbiamo un calciobalilla in casa e le serate cominciano e finiscono con una sfida a “fuseball”, così come dicono qui. Io e il Carpentieri siamo davvero due pippe, mentre il Como e il Malara sono accaniti come due professionisti. Adesso hanno in corso una sfida personale a 7 partite secche in cui si sono giocati barba e capelli: nel senso che chi perde, si pela completamente all’ hare krishna...

"E" come Earl

Notte d’insonnia. Dovuta probabilmente a quel tè che mi sono fatta prima di andare a dormire. Qualunque sia la causa, sono le 3.12 qui in America e nonostante la stanchezza, non riesco a chiudere occhio. Vi parlerò di Earl...

Circa due settimane fa, televisioni, giornali, riviste universitarie, mail istituzionali et varie hanno alertato la popolazione di Boston sull’arrivo di Earl.
Earl è un uragano che verso fine agosto ha interessato l’area nord-est dell’America, tra cui anche Boston. È nato nei pressi di Capo Verde, in Africa e, grazie alle correnti monsoniche, si è spostato diagonalmente per tutto l’Atlantico fino ad arrivare alle coste yankies.

Un ciclone tropicale, insomma. Come tanti. Solo che qui, stavolta, hanno avvisato con un certo anticipo...

In Massachusetts, la prima cosa che hanno fatto è stata indire una conferenza stampa, a cura della Massachusetts Emergency Management Agency (la versione americana dei Grandi Eventi di Bertolaso), per dare alla popolazione gli ultimi ragguagli metereologici.
Cioè, per dire: “Signore e Signori, buonasera, interrompiamo il programma per comunicarvi che sta per arrivare un ciclone. Si prevedono forti venti, nuvole e pioggia.”

Dopodiché, il panico.

Messaggi arrivavano da tutti gli angoli dell’etere informando la popolazione sui rifugi, sulla disposizione o meno di generatori di corrente elettrica, su sacchi di sabbia per prevenire le inondazioni e consigli sulla scelta delle scorte alimentari.
Dalle Università l’allarme all’unisono era: “Oggi cesseremo le attività alle 16.00. A causa di Earl potremmo avere complicazioni con il generatore per ore, giorni, forse settimane. Chiudete gli esperimenti, salvate il salvabile, staccate tutte le spine”...

Non so nel resto del territorio, ma qui da noi, a Somerville...non ci è arrivato manco un sacchetto di sabbia.

Earl ha fatto capolino un Venerdì.
In casa l’atmosfera era abbastanza rilassata. Viviamo in un palazzetto di legno senza fondamenta (non è uno scherzo, volendo si può prendere la casa pari pari e spostarla di peso) e capirete bene che se viene un uragano ci porta a noi e alla casa, così come stiamo.
Ne avevamo discusso, comunque...
Ma poi, con quella flemma tipica di noi italoimmigrati pigroni, avevamo chiosato il tutto con un: e vabbè, c’amma fa?!
E ognuno aveva ripreso le sue attività.

Ma ogni tanto guardavamo il forecast ufficiale aspettando la catastrofe.
Alle sei di sera, fuori al balcone, comincia lo spettacolo: Cambridge/Somerville viene ricoperta da una fitta coltre di nebbia. Dopo mezz’ora non riuscivamo a vedere neanche la palazzina di fronte. Tutti guardavamo l’avanzare di questa nebbia, un po’ come Totò e Peppino in “Malafemmena”...La nebbia c’è...ma non si vede....
E come si fa a sapere che c’è, se non si vede?

Il risultato è stato: due schizzetti di pioggia, un po’ di vento e un aumento vertiginoso dell’umidità nella settimana seguente.
Una catastrofe annunciata ma mai arrivata.

Gli Americani, però, si sono preparati come se ci fosse un’imminente minaccia nucleare. Scene di isteria collettiva nei supermercati, cartoni del latte che sparivano, uova e carta igienica introvabili. E sugli scaffali rimanevano solo scatole di biscotti al burro che, dal loro triste piedistallo, guardavano l’incetta che si faceva degli altri beni di consumo, rendendosi conto di essere superflui.
Eh, sì... perché in un momento di crisi, si scelgono meglio le proprie priorità.
E i biscotti al burro non sono contemplati nemmeno nella Top Ten (i primi dieci) delle priorità alimentarie.

Questa cosa mi ha fatto riflettere sull’ontologia della crisi.
Avendo un grande rispetto per la lingua e le culture antiche, perché secondo me già è stato detto tutto (almeno filosoficamente) nel V secolo avanti cristo (e prima), ho cercato l’etimologia della parola crisi. 

Crisi è una derivazione della parola greca κρίνω che significa «distinguere, giudicare».
Effettivamente, un momento di crisi è un momento in cui si tirano le somme e si scelgono le priorità.
Un momento in cui c’è l’opportunità di cambiare , in cui si distigue più chiaramente e in cui si giudica più nettamente.

Le crisi possono essere di varia natura: personale, sociale, filosofica, ideologica, politica, economica e tutti i derivati composti che si possono creare dall’unione di due concetti (politico-economica, socio-economica, filosofico-personale etc) ...
Però, stranamente, nella nostra bolla di sapone occidentale, una crisi, di qualunque natura essa sia, ci porta solo a una forma depressa di inerzia.

La maggior parte di noi, in un momento di crisi, si ferma.
Si ferma e guarda attonito il fracasso di un sistema, di una struttura. All’inizio corre ai ripari con manovre drastiche e poi...?

Ritornando al ciclone, Earl è passato senza conseguenze significative.
Ritorno al supermercato e tutto sembra normale. I galloni del latte strasbordano dal banco frigo, la carta igienica si staglia come una morbida muraglia alla fine della scaffalatura e si intravede all’inizio della sezione formaggi, una pila di 2 metri quadrati di cartoni da 12 uova.

Solo i biscotti al burro non ci sono più.
Siamo ritornati alla normalità.

E questa normalità è un problema.

"D" come Dexter, Done (no..better OverDone) and Dumb-gang

La serata non era finita bene. Due ore a congelarsi aspettando una telefonata e i nervi alle stelle.
Erano le 8 e mezza di sera, e Flavia si accingeva a prendere la linea verde che da Chestnut Hill l'avrebbe portata a Park Square dove poi avrebbe preso la linea rossa per Harvard e fatto quei sani 10 minuti a piedi per arrivare a casa ed entrare in coma nel suo letto(detto anche Mazinga Z, dalle doghe perforanti)...

Entra nel trenino e accende l'mp3, per isolarsi dalla solitudine che invadeva la carrozza. C'erano solo lei, una vecchia con una busta di plastica tra le gambe, un asiatico addormentato e una ragazza punk, bianca come un cencio e magrissima...

Man mano che il treno si fermava, la gente cominciava a riempire gli spazi vuoti. Gente di tutte le razze e gli stili possibili: una ragazza con il cellulare che litigava con il fidanzato, due cheerleaders, vecchi sparsi, un paio di gruppi in pieno trasloco con valigie improvvisate e chitarre, fuonzionari, un afroamericano in giacca e cravatta che ad ogni messaggio del blackberry si mordeva le labbra e bestemmiava...

La ragazza punk era agitata, muoveva il baricentro avanti e indietro, ora cercando una totale adiacenza col sediolino, ora piegandosi in avanti, senza lasciare spazio alcuno tra torace e gambe. Ogni tanto faceva grandi respiri e di nuovo giù, con il viso tra le mani.
Ad un certo punto si alzò e si spostò verso l'altra carrozza, meno affollata. Flavia la seguì con lo sguardo mentre dagli auricolari la voce di Dexter Holland (The Offspring) e la canzone Gotta Get Away mettevano il silenziatore ai rumori esterni.

Alcune fermate prima di Park Street, la ragazza punk si alza dalla sedia, va al centro dell'altra carrozza, vomita copiosamente tra gli attoniti astanti e sviene.

Nessuno si muove.

Il treno si ferma. La gente entra cercando di evitare corpo e vomito ed io mi alzo bestemmiando un "ma davvero fate??" Dico al conduttore che una ragazza s'è sentita male. L'autista si gira, borbotta qualcosa che non capisco e chiude le porte. La gente migra alla mia carrozza. Ed io gli chiedo di riaprire le porte, che la faccio uscire io dal treno e le cerco un'ambulanza.

Mi carico la giovane, mezza cosciente, e la porto fuori. Incazzata come non mai, cerco qualcuno che mi presti un cellulare perché il mio l'avevo lasciato a casa, ma con scarsi risultati. Lascio la ragazza sulle scale, vado dalla security e gli spiego l'accaduto.
Chiamano l'ambulanza.

Arriva quasi subito. Mi dicono che dovrei dichiarare, che dovrei accompagnarla all'ospedale. "Non la conosco", rispondo e dopo un po' di battibecchi, se la portano al suono spiegato della sirena.
Scendo di nuovo giù, prendo il treno e arrivo a Park Street.
"Casa dolce Casa" penso...

Durante l'attesa per la coincidenza, arriva una mandria di giovani, almeno quaranta, grandi come degli armadi a quattro porte,così alti che io in confronto sembravo la matrioska più piccola della serie, l'ultima che trovi quando le apri tutte.
Cominciano a tirarsi un pallone e a grugnire frasi incomprensibili, almeno per me. Rimetto l'mp3... meglio.
Entriamo tutti nel treno. Di fronte a me, due di questi grandi cerebrolesi fatti ad anabolizzanti e proteine, si scambiano cortesi capate da macho alfa, altri si intrattengono con l'iphone o chiacchierano.
Usciamo ad Harvard. Ci sono due scale mobili. Il flusso di bisonti si avvia verso la prima rampa elettrica...io faccio le scale.
Alla seconda rampa, mi infilo anche io nella scala mobile; io, il portatile e l'mp3. All'improvviso, il gruppo davanti a me si gira e scende in direzione contraria, travolgendomi e riportandomi all'inizio della scala mobile...

Ed io comincio a urlare in napoletano e a prendere a pugni il primo bisonte che mi stava davanti.
Pugni che ovviamente non gli facevano un cazzo (io ho un livido sulle nocche)....
Una scena da cartone animato.
Mi ferma la mano e mi manda affanculo, non so bene in quale direzione, ma ho colto alcuni suggerimenti ed io gli rispondo che è un rotto in culo...in napoletano. Poi in inglese gli dico: io capisco quello che dici tu, sei tu bestia che non capisci quello che dico io.

Una frase senza senso, ammettiamolo.
Ma lì per lì è stata l'unica cosa che mi è venuta in mente.

"C" come Cleansing Cream

Beh, andrò a fare hiking questo fine settimana e siccome non ho niente, solo le scarpe adatte, sono andata alla Cambridge Galleria per comprare alcuni accessori necessari.
Il consumismo in questo paese è praticamente uguale al consumismo Europeo elevato all’ennesima potenza. Ci sono un numero infinito di negozi di accessori/vestiti/scarpe dove puoi scegliere ciò che più ti aggrada. Vi dico solo che viene il mal di mare a vedere la quantità di modelli di jeans che si affacciano languidi dalle mensole dei negozi...in uno dei tanti ne ho contati più di settanta... (che poi sono tutti uguali, cambia il bottone o la cucitura...ma tutti made in taiwan, sono).

Nella Galleria ci sono anche le bancarelle. Non sono come quelle dei mercati... sono più sofisticate e gestite da mercenari che cercano di attirare l’attenzione dei consumatori a tutti i costi. Non vendono solo vestiti, ma profumi, prodotti per la casa, caramelle...

Mentre camminavo con l’aria un po’ persa nei corridoi del grande centro commerciale un tizio mi ferma:

-          Ma è vero ciò che vedo???
-          Pardon?
-          Dico...è vero ciò che vedo?? Ti mangi le unghie!!!
-          (Adessogli spacco la faccia) Si, sono nervosetta...
-          Eeeeeeh...dammi due minuti e ti mostrerò un prodotto che cambierà la tua vita: dammi un’unghia...
-          (strattona la mano e si prende un dito con la forza)
-          Con questo spazzolino, pulisci, lucidi e...voilà! Non è un’unghia meravigliosa?
-          Non noto una reale differenza...
-          Ah, capisco....Che prodotto per il viso utilizzi?
-          Scusa? Non credo di aver capito...ripeti?
-          Che prodotto usi per il viso?
-          Nessuno...perché?
-          Dovresti...
-          (Adesso gli dò un calcione nelle palle e lo faccio volare) ...
-          Perché non usi prodotti per il viso...ne hai bisogno! Dovresti passare più tempo a curare la tua pelle...

E a quel punto, ho sorriso gli ho messo una mano sulla spalla e gli ho detto, con la voce piena di cinismo:

-          Hai ragione...succede quando passi il tempo in laboratorio cercando la cura contro il cancro ...non hai molto tempo per le cremine esfolianti e sai che? l’ultima cosa che desideri è che un giovane “undergraduate” ti faccia sentire incomoda con te stessa il giorno, dopo mesi, che decidi di rinnovare il tuo guardaroba. Grazie per il consiglio. Ci rifletterò. Come si chiama la cremina?

Non me ne vogliate. Una bugia ogni tanto fa bene... e poi funziona sempre! Sono tutti così sensibili a morte e malattie... molto di più che alla Storia.
Alla fine si è scusato e mi ha lasciato andare.

Nota positiva della giornata è una maglietta.
La maglietta più bella della terra: viola con su scritto World’s Coolest Ex-Girlfriend. Ovviamente non ho resistito...
Ne ho comprata anche un’altra che dice “Se conoscessi mia madre, capiresti”.

"B" come BostonByBike

Ho una bicicletta, qui a Boston.
È una bella bicicletta da corsa che poco a poco sto aggiustando, nonostante non sia l'investimento più intelligente del momento.
Ma a me le biciclette piacciono assai.

Dunque, la differenza tra una bici da corsa e una mountan-bike è la scomodità.
Ovviamente la scomoda, a mio avviso, è quella da corsa:
1. perché ha le ruote finissime e ogni pietruzza che acchiappi è un sussulto intestinale e un sellino nei reni.
2. perché ha il manubrio al livello della barra e verso il basso (come le bici di Coppi e Bartali, per capirci) e quindi l'unica posizione in cui si può condurre questo magnifico mezzo di trasporto, è con la "schiena a parabola"...cosa che, se ti fai un chilometro al giorno, tutto sommato non ti cambia molto. Ma se ti fai 30 chilometri al giorno per andare al lavoro, alla sera, la schiena sembra l'intervallo grafico tra il seno a 0º e quello a pigrecomezzi.
3. perché in concreto, non mi funziona il cambio delle marce e la bici sta settata su quelle più pesanti. Il che non è proprio tutta salute... specialmente in collina.
Però fujecummacchè ...

La città è attrezzata con piste ciclabili. E siccome qui sono abbastanza civili (a Napoli sarei finita in ospedale al primo semaforo), e la maggior parte delle volte rispettano la linea di demarcazione tra la corsia per i mezzi meccanici e quella per i veicoli a propulsione umana, il trasporto in bici è, generally, sicuro e conveniente. Oltre che ecologico...perché qui siamo tutti ecologici.

Le mie avventure in bicicletta consistono essenzialmente in:

1. finire sotto i SUV
2. andare a fare le castagne

Ed ora vi racconterò entrambe le storie.

Once upon a time, in America (o, di Flavia e l'incidente)...

Noialtri si ha l'ecologica abitudine di andare a far la spesa in bicicletta al mercato terzomondista di North End (Haymarket) il sabato mattina giacché: è un mercato economico (tre kg di pomodori 2 dolari vs. i tre kg del supermercato che ti vengono più o meno 12 dollari), vicino c'è il Bar dello Sport, l'unico bar dove il caffè assomiglia al caffè e c'è l'unico negozio della città dove vendono la Settimana Enigmistica.
Siccome il mercato c'è solo il Venerdì e il Sabato, approfittiamo e  il Sabato andiamo lì muniti di zainetto e lista della verdura che ci manca.

Bien, s'era appena finito di fare la spesa e ci si accingeva a tornare a casa, passando prima dal pescivendolo perché m'era venuto il vulio di rana pescatrice quando, ad un incrocio, bellebbuono, mi arravota un SUV.
In realtà la scena si è svolta un po' a rallentatore, o perché ho un buon baricentro o perché in momenti di panico il tempo si dilata. Ricordo solo di essere caduta lateralmente come una patata, preoccupata più per la bici e i 6kg di pomodorini che portavo nello zaino, piuttosto che per la mia pelle...
Pietro e Giacomo che stavano qualche metro avanti, fanno un giro di 180º e mi raggiungono, il peruviano che conduceva la macchina, scende e disperato comincia a scusarsi compulsivamente (ragion per cui il Malara ha maliziosamente pensato che fosse un clandestino o uno senza la visa in regola) io faccio un balzo da terra come un lottatore professionale di judo e comincio a dire "tuttoapposto...tuttoapposto...sto bene...sto benissimo...non mi manca niente...posso muovermi...tuttoapposto". E mentre si consumava questa scena in cui ci si parlava l'uno sull'altro io, il peruviano, Giacomo e Pietro si avvicina un poliziotto di guardia a una banca e fa:

- Tutto bene signorina? Vuole che chiami la polizia?
- prego?
- vuole che chiami la polizia?
- la polizia? e perché la polizia?  e soprattutto, scusi...ma non è lei la polizia?

poi mi ha spiegato che era un guardia privato.
Comunque, niente polizia... solo un'iniezione di pura adrenalina a causa dello spavento e un po' di trauma una volta passato l'effetto della stessa.
La prossima volta, lo faccio più pulp e spettacolare! Se no è banale...

Ma parliamo delle castagne.
L'espressione "andare a fare le castagne" è stata coniata dal Malara la notte tra il 6 e il 7 di luglio quando ho scoperto che l'Università dove dovevo lavorare si trovava a Chestnut Hill (Chestnut significa Castagna) ... ed è rimasta nel nostro gergo quotidiano.
Quindi, se dico o leggete: vac a ffa' 'e castagne, significa semplicemente che sto andando a lavorare.

Chestnutt Hill sta a circa una decina di miglia da Somerville, dove vivo. Una trentina di chilometri andata e ritorno.
Durante il primo mese - con la splendida bici da corsa senza sospensioni e con le marce bloccate - sbagliavo sempre strada per andare al lavoro scoprendo, a mie spese, che *Hill* non era il sinonimo di "curva isoipsa" ma, in molti dei percorsi da me provati, significava esattamente "trecento colline una dietro l'altra con pendenza che varia dal 70% al 99,9%".

Arrivare al lavoro, durante il primo mese, mi è costato uno sforzo fisico epico.
Quelle cazzo di collinette talmente ravvicinate tra loro che non  facevi in tempo manco a prendere un po' di rincorsa che dovevi salirne un'altra ancora più ripida...

Alla fine ho trovato un modo per arrivare con almeno un polmone funzionante, vi mando il link affinché possiate vederlo anche voi: http://beta.mapmyride.com/route/detail/21000972/?open_ive_done=1

Nonostante questo, un giorno mi si sgancia la catena, un'altro mi scoppia la ruota, un'altro ancora scivolo dal sellino e mi impalo con la barra, una volta mi scordo il caricatore del portatile e devo ritornare a casa facendo il doppio percorso (come nel gioco dell'oca quando esce la carta "Ripassa dal Via")...
insomma, non ci si annoia neanche andando al lavoro.
E, soprattutto, arrivo sempre sgangherata... tanto che ho preso l'abitudine di portarmi un ricambio e il nécessaire col trucco.

In sintesi: arrivo alla facoltà puzzolente, sudata e con la faccia descomposta dallo sforzo fisico. Varco la soglia dell'edificio passando da una temperatura corporea di 40º e una esterna di almeno 30º a una temperatura di -20º  tanto corporea come interna (il mio sistema immunitario ringrazia i condizionatori a palla). Vado in bagno. Mi cambio i vestiti. Mi trucco come un attore di teatro Kabuki, mi metto la felpa e vado a lavorare.
E il caffè fa pure schifo, qui.

Ed ora sono qui, nella biblioteca dell'Università, con i "congelatori" al massimo (non sono condizionatori, sono congelatori), un milione di riviste scientifiche e la necessità periodica di staccarmi dal portatile ed uscire fuori , giusto per ricordarmi che sono un animale a sangue caldo.

"A" come Arrived to Boston

Salve a tutti, vicini e lontani

La mia "rubrica delle pispole ammericane" seguirà un rigoroso ordine alfabetico ed è abbastanza facile intuire che cominceremo con la lettera "A": "

A" come "Arrived to Boston".
(suono di trombe)

La verità è che è tutta fortuna che io sia riuscita a entrare negli States, giacché ho provocato il caos alla frontiera.
Dopo un numero infinito di ore d'attesa in Portogallo e un viaggio transatlantico in compagnia di uno stuart eccitatissimo, sui 50 anni, appena tornato dal gay pride e un signore del "jet set" che s'è ritrovato per sbaglio in classe turistica e ha rotto le palle lui e le bottigliette di vodka per 8 ore di volo, riesco ad atterrare a Boston.
La prima cosa che vedi, a Boston, è la Bandiera americana.
La seconda... anche.
E anche la terza.
È il leitmotiv dell'America: la bandiera a stelle e a strisce.

Dopodiché si arriva alla frontiera.
La frontiera aeroportuale è strutturata come il pedaggio dell'autostrada.
Arrivi, ti infili nel corridoio e il grasso poliziotto di frontiera, perennemente irritato, ti saluta:

Policeman: Sgrunt...
SuperFlavia: Salve come va?
Policeman: Sgrunt. Documenti.
SuperFlavia: (mi ero preparata una cartellina con tutto, ma proprio tutto) Ecco...questo è il passaporto...ehm...qui c'è l'ESTA, il visto d'entrata, la lettera di invito dell'Università americana ...ehm...e qui i due foglietti che mi hanno dato sull'aereo (inutili, ma vabbè)...
Policeman: Alcool?
SuperFlavia: prego?
Policeman: Alcool? Ha alcool da dichiarare?
SuperFlavia: Si, Bacco, tabacco e Venere...tutto del duty free. tranne Venere, eheheh quella sono io...
Policeman: Non capisco...ha alcool si o no?
SuperFlavia: ...ehm...sì, sì una bottiglia di liquore per Paolo...e una stecca di sigarette per Pietro e...
Policeman: Motivo della visita...
SuperFlavia: Studente in visita e ricercatrice
Policeman: studente o ricercatrice?
SuperFlavia: ehm.. tecnicamente entrambe...
Policeman: no! pùò sceglierne una, solo una...
SuperFlavia: in che senso?
Policeman: ...
SuperFlavia: ok...studente.
Policeman: e la pagano per stare qui?
SuperFlavia: e certo!
Policeman: Come la pagano?????!!!!gli Stati Uniti d'America la finanziano?
SuperFlavia: no...gli Stati Uniti no...
Policeman: il biglietto chi gliel'ha pagato?
SuperFlavia: e me lo sono pagato io...
Policeman: chi le ha dato i soldi???!!
SuperFlavia: senta, non capisco che vuole sapere.
Policeman: a lei chi la paga?
SuperFlavia: la mia università.
Policeman: allora è ricercatrice!
SuperFlavia: come lei preferisce, signor poliziotto..mi sta facendo venire il giramento di capa...
Policeman: Ha un biglietto di ritorno?
SuperFlavia: no.
Policeman:  come no????!!!!

(le restrizioni in America per chi vuole rimanere e "rubare lavoro" seguono un codice parafascista)

SuperFlavia: tecnicamente non ce l'ho...cioè devo fare il check in il 25 di settembre e lì emetteranno il biglietto e quindi lo avrò fisicamente tra le mani. Quello che ho ora è una sorta di biglietto elettronico che mi ha dato l'agenzia di viaggi online dove ho comprato il passaggio aereo...
Policeman: va bene ..va bene.. metta le 4 dita della mano sinistra... la sinistra signorina!!!! e il pollice... e le quattro dita della mano destra...e il pollice... guardi nella webcam.... bene... se ne vada...
SuperFlavia: Amabile

Ora, capisco che a domanda semplice ---> risposta semplice.
ma le domande non erano proprio precise precise...
comunque...

La casa non è male. Un appartamento di 4 stanze, due bagni, una cucina molto grande, un salone e un porche, ossia una terrazza con un salottino all'aperto.
Il problema è il caldo...fa un caldo che ti impedisce di pensare.
Sudi anche se stai fermo.
Difatti, nel mio primo giro a Harvard ho avuto la mia prima insolazione.
E prendere un'insolazione a Boston è da barzelletta!

Il Campus di Harvard mi è piaciuto... ma mi aspettavo qualcosa di più, come dire, qualcosa di più imponente.

I compagni di casa di Pietro sono piacevoli.
C'è una ragazza di Salerno, si chiama Chiara e un ragazzo che assomiglia a sidney porier che non ricordo bene come si chiama.

Ovviamente a causa del caldo infernale non ho neanche avuto il tempo di avere il Jat lag perché alle 5.30 del mattino stavo sveglia, in un mare di sudore e con un principio di esaurimento nervoso. Sono andata a fare colazione. Si era svegliato anche Sidney Potier ed è venuto a fare colazione con me.

Ora, mamma e papà che mi conoscono e anche amici e amori sanno che io, al mattino, sono un Troll...
non mi si deve parlare prima del caffè perché grugnisco invece di rispondere e devo stare almeno 20 minuti in catatonia per poter ritrovare la lucidità.
Mentre prendo il caffè questo mi guarda e fa...

- Che bel sorriso che hai ...così naturale..
- ...prego?
- ..e la tua pelle ...ma soprattutto quello che mi piace di te sono i capelli...
(NB, appena sveglia ho i capelli a "nido di rondine")
- ...ehm...ci conosciamo da 15 minuti e già mi stai mettendo in imbarazzo? Bel modo di cominciare Kunta Kinte!! Comunque non sono abituata a ricevere i complimenti appena sveglia alle 6 del mattino...
- C'è un momento preciso in cui ti fanno i complimenti? -dice sorridendo
- Sì. ...Mai!

poi si rende conto che è in ritardo e dice: ok! so...we are connected...
e se ne va.

Connected? Ma che stai, in Avatar?

Vabbè, dopo la proposta, Harvard e l'insolazione ho fatto la spesa e cucinato la paella.
Perché io sono furba: so che questa gente mangia cibi di plastica e per farmi volere bene, gli ricordo che a parte dello stomaco hanno il palato.
Difatti ho spaccato. Solo che abbiamo mangiato a lume di candela perché l'eccesso di calore, ergo condizionatori a palla (che noi non abbiamo: questa casa è un forno) ha fatto saltare la luce in tutto il vicinato provocando panico e attacchi d'astinenza da tecnologia giacché, ovviamente, erano saltati TV e routers e la gente s'è isterizzata: per la prima volta dal Millennium Bag ha dovuto alzare la testa dal monitor.
E bisogna capirli: non sono abituati ...

Ad ogni modo ho avuto la possibilità di tastare un po' di "real american way of life": a parte le bandiere, le macchine enormi e la faccia bianca bianca della gente, ogni due o tre case c'è una etichetta con la bandiera ammericana sulla porta d'entrata. Ci sono due varianti: una dice "9/11 we'll never forget" e l'altra "freedom is not free" ossia, la libertà non è gratis o la libertà si paga. Ma siccome "free" significa anche "libero/a" potrebbe dare adito ad una seconda interpretazione (se già la prima non fosse abbastanza terrificante)  e cioè: "[qui] la libertà non è libera". Ed ho il sentore che sia vero.

Ammerica dalla A alla Z ...

Ho deciso di trasferire il diario nordamericano qui sul pispolaio.
Buona lettura.